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      Noi dobbiamo sèmpre imparare a regolarci pel giorno presènte e pe' venturi; dobbiamo sèmpre tener viva la nòstra virtù, producendone nuovi atti; dobbiamo sèmpre por mente a' nòstri falli e pentircene.
      Sì, pentircene! Nulla di più vero di ciò che dice la Chièsa: che la nòstra vita debb'èssere tutta di pentimento e d'aspirazione ad ammendarci. Il cristianesimo non è altro. E lo stesso Voltaire, in uno di que' momenti che non era divorato dal furore di schernirlo, scrisse: - "La confessione è còsa eccellentissima, un freno alla colpa, inventato nella più remota antichità; regnava l'uso di confessarsi nella celebrazione di tutti gli antichi mistèri. Noi abbiamo imitato e santificato quella savia costumanza: ella è òttima per condurre i cuòri ulcerati d'odio al perdono. (V. Quest. encicl., tomo III)."
      Ciò di che Voltaire osò qui convenire, sarèbbe vergogna che non fosse sentito da chi s'onora d'èssere cristiano. Porgiamo ascolto alla cosciènza, arrossiamo delle azioni che ci rimprovera, confessiamole per purificarci o non cessiamo da questo santo lavacro sino alla fine de' nòstri giorni. Se ciò non s'eseguisce con volontà sonnolenta; se i falli da chi li rammèmora non si condannano colle sole labbra; se al pentimento va congiunto un verace desidèrio d'ammènda, rida chi vuòle, ma nulla può essere più salutare, più sublime, più degno dell'uòmo.
      Quando conosci d'aver commesso un tòrto, non esitare a ripararlo. Soltanto riparandolo avrai la cosciènza contènta. L'indugio della riparazione incatena l'anima al male con vincolo ogni dì più fòrte e l'avvezza a disistimarsi.


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Dei doveri dell'uomo
di Silvio Pellico
Casa Editrice Italiana Milano
1873 pagine 79

   





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