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      E guai allorchè l'uòmo internamente si disistima! Guai allorchè finge stimarsi, sentèndosi nella cosciènza un putridume che non dovrebb'èssere! Guai allorchè crede che, avendo tal putridume, non siavi più altro a fare che dissimularlo! Ei non ha più un grado fra i nòbili ènti; egli è un astro caduto, una sventura della creazione.
      Se qualche impudènte giovine ti chiama debole perchè non t'ostini, com'egli, ne' mancamenti, rispondigli, èsser più fòrte chi resiste al vizio che chi lasciasi da esso strascinare; rispondigli l'arroganza del peccato èssere falsa fòrza, dacch'è certo che al letto della mòrte, salvo un delirio, ei la pèrde; rispondigli, la forza di cui sèi vago èssere appunto quella di non curare lo scherno, quando abbandoni il sentièro malvagio per quello della virtù.
      Quand'hai commesso un tòrto, non mentir mai per negarlo od attenuarlo. Debolezza turpe è la menzogna. Concèdi d'aver errato; qui vi è magnanimità: e la vergogna che ti costerà il concedere ti frutterà la lode dei buòni.
      Se t'avvenne d'offèndere alcuno, abbi la nòbile umiltà di chiedergliene scusa. Siccome tutta la tua condotta mostrerà che non sèi un vile, nessuno ti chiamerà vile per ciò. Ostinarsi nell'insulto, e piuttosto che onoratamente disdirsi, venire a duèllo od a perpètua inimicizia sono buffonate d'uòmini supèrbi e feroci, sono infamie cui mal si sforzano d'apporre il nome brillante d'onore.
      Non v'è onore che nella virtù, e non v'è virtù, che a patto di continuamente pentirsi del male e proporsi l'ammenda.


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Dei doveri dell'uomo
di Silvio Pellico
Casa Editrice Italiana Milano
1873 pagine 79