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      Mi passavano parimente sotto gli occhi molte donne arrestate. Da quella galleria s'andava, per un voltone, sopra un altro cortile, e là erano le carceri muliebri e l'ospedale delle sifilitiche. Un muro solo, ed assai sottile, mi dividea da una delle stanze delle donne. Spesso le poverette mi assordavano colle loro canzoni, talvolta colle loro risse. A tarda sera, quando i romori erano cessati, io le udiva conversare.
      Se avessi voluto entrare in colloquio, avrei potuto. Me n'astenni, non so perché. Per timidità? per alterezza? per prudente riguardo di non affezionarmi a donne degradate? Dovevano esservi questi motivi tutti tre. La donna, quando è ciò che debb'essere, è per me una creatura sì sublime! Il vederla, l'udirla, il parlarle, mi arricchisce la mente di nobili fantasie. Ma avvilita, spregevole, mi perturba, m'affligge, mi spoetizza iI cuore.
      Eppure... (gli eppure sono indispensabili per dipingere l'uomo, ente sì composto) fra quelle voci femminili ve n'avea di soavi, e queste - e perché non dirlo? - m'erano care. Ed una di quelle era più soave delle altre, e s'udiva più di rado, e non proferiva pensieri volgari. Cantava poco, e per lo più questi soli due patetici versi:
     
      Chi rende alla meschina la sua felicità?
     
      Alcune volte cantava le litanie. Le sue compagne la secondavano, ma io aveva il dono di discernere la voce di Maddalena dalle altre, che pur troppo sembravano accanite a rapirmela.
      Sì, quella disgraziata chiamavasi Maddalena. Quando le sue compagne raccontavano i loro dolori, ella compativale e gemeva, e ripeteva: "Coraggio, mia cara; il Signore non abbandona alcuno".


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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