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      Salimmo al palazzo; il conte B. parlò co' giudici, indi mi consegnò al carceriere, e, congedandosi da me, m'abbracciò intenerito.
     
      CAPO XXIII
     
      Seguii in silenzio il carceriere. Dopo aver traversato parecchi ànditi e parecchie sale, arrivammo ad una scaletta che ci condusse sotto i Piombi, famose prigioni di Stato fin dal tempo della Repubblica Veneta.
      Ivi il carceriere prese registro del mio nome, indi mi chiuse nella stanza destinatami.
      I così detti Piombi sono la parte superiore del già palazzo del Doge, coperta tutta di piombo.
      La mia stanza avea una gran finestra, con enorme inferriata, e guardava sul tetto parimente di piombo della chiesa di San Marco. Al di là della chiesa, io vedeva in lontananza il termine della piazza, e da tutte parti un'infinità di cupole e di campanili. Il gigantesco campanile di San Marco era solamente separato da me dalla lunghezza della chiesa, ed io udiva coloro che in cima di esso parlavano alquanto forte. Vedevasi anche, al lato sinistro della chiesa, una porzione del gran cortile del palazzo ed una delle entrate. In quella porzione di cortile sta un pozzo pubblico, ed ivi continuamente veniva gente a cavare acqua. Ma la mia prigione essendo così alta, gli uomini laggiù mi parevano fanciulli, ed io non discerneva le loro parole se non quando gridavano. Io mi trovava assai più solitario che non era nelle carceri di Milano.
      Ne' primi giorni le cure del processo criminale che dalla Commissione speciale mi veniva intentato m'attristarono alquanto, e vi s'aggiungea forse quel penoso sentimento di maggior solitudine.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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