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      L'ira è più immorale, più scellerata che generalmente non si pensa. Siccome non si può ruggire dalla mattina alla sera, per settimane, e l'anima, la più dominata dal furore, ha di necessità i suoi intervalli di riposo, quegli intervalli sogliono risentirsi dell'immoralità che li ha preceduti. Allora sembra d'essere in pace, ma è una pace maligna, irreligiosa; un sorriso selvaggio, senza carità, senza dignità; un umore di disordine, d'ebbrezza, di scherno.
      In simile stato io cantava per ore intere con una specie d'allegrezza affatto sterile di buoni sentimenti; io celiava con tutti quelli che entravano nella mia stanza; io mi sforzava di considerare tutte le cose con una sapienza volgare, la sapienza de' cinici.
      Quell'infame tempo durò poco: sei o sette giorni.
      La mia Bibbia era polverosa. Uno de' ragazzi del custode, accarezzandomi, disse: "Dacché ella non legge più quel libraccio, non ha più tanta melanconia, mi pare".
      Ti pare?
      gli dissi.
      E presa la Bibbia, ne tolsi col fazzoletto la polvere, e sbadatamente apertala, mi caddero sotto gli occhi queste parole: "Et ait ad discipulos suos: Impossibile est ut non veniant scandala; vae autem illi per quem veniunt! Utilius est illi, si lapis molaris imponatur circa collum eius et projiciatur in mare, quam ut scandalizet unum de pusillis istis".
      Fui colpito di trovare queste parole, ed arrossii che quel ragazzo si fosse accorto, dalla polvere ch'ei sopra vedeavi, ch'io più non leggeva la Bibbia, e ch'ei presumesse ch'io fossi divenuto più amabile divenendo incurante di Dio.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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