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      A sera mi sosteneva con un potente caffè, e supplicava che lo facesse la siora Zanze. Questa era la figliuola del custode, la quale, se potea farlo di nascosto della mamma, lo faceva straordinariamente carico; tale, che, stante la votezza dello stomaco, mi cagionava una specie di convulsione non dolorosa, che teneami desto tutta notte.
      In questo stato di mite ebbrezza io sentiva raddoppiarmisi le forze intellettuali, e poetava e filosofava e pregava fino all'alba con meraviglioso piacere. Una repentina spossatezza m'assaliva quindi: allora io mi gettava sul letto, e malgrado le zanzare, a cui riusciva, bench'io m'inviluppassi, di venirmi a suggere il sangue, io dormiva profondamente un'ora o dueSiffatte notti, agitate da forte caffè preso a stomaco vuoto, e passate in sì dolce esaltazione, mi pareano troppo benefiche, da non dovermele procurare sovente. Perciò, anche senza aver bisogno di carta dal secondino, prendeva non di rado il partito di non gustare un boccone a pranzo, per ottenere a sera il desiderato incanto della magica bevanda. Felice me quand'io conseguiva lo scopo! Più d'una volta mi accadde che il caffè non era fatto dalla pietosa Zanze, ed era broda inefficace. Allora la burla mi metteva un poco di mal umore. Invece di venire elettrizzato, languiva, sbadigliava, sentiva la fame, mi gettava sul letto, e non potea dormire.
      Io poi me ne lagnava colla Zanze, ed ella mi compativa. Un giorno che ne la sgridai aspramente, quasi che m'avesse ingannato, la poveretta pianse, e mi disse: "Signore, io non ho mai ingannato alcuno, e tutti mi dànno dell'ingannatrice".


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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