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      Mi figuro di sì; perché rideva, rideva come un matto, e facea di quella lettera una palla, e la gettava per aria, e quando gli dissi che non dimenticasse poi di distruggerla, la distrusse subito.
      Va benissimo.
      E restituii a Tremerello la chicchera, dicendogli che si conosceva che il caffè era stato fatto dalla siora Bettina.
      L'ha trovato cattivo?
      Pessimo.
      Eppur l'ho fatto io, e l'assicuro che l'ho fatto carico, e non v'erano fondi.
      Non avrò forse la bocca buona.
     
      CAPO XXXIX
     
      Passeggiai tutta mattina fremendo. "Che razza d'uomo è questo Giuliano? Perché chiamare la mia lettera uno scherzo? Perché ridere e giocare alla palla con essa? Perché non rispondermi pure una riga? Tutti gl'increduli son così! Sentendo la debolezza delle loro opinioni, se alcuno s'accinge a confutarle non ascoltano, ridono, ostentano una superiorità d'ingegno la quale non ha più bisogno d'esaminar nulla. Sciagurati! E quando mai vi fu filosofia senza esame, senza serietà? Se è vero che Democrito ridesse sempre, egli era un buffone! Ma ben mi sta: perché imprendere questa corrispondenza? Ch'io mi facessi illusione un momento, era perdonabile. Ma quando vidi che colui insolentiva, non fui io uno stolto di scrivergli ancora?"
      Era risoluto di non più scrivergli. A pranzo, Tremerello prese il mio vino, se lo versò in un fiasco, e mettendoselo in saccoccia:
      Oh, mi accorgodisse "che ho qui della carta da darle." E me la porse.
      Se n'andò; ed io guardando quella carta bianca mi sentiva venire la tentazione di scrivere un'ultima volta a Giuliano, di congedarlo con una buona lezione sulla turpitudine dell'insolenza.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





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