Pagina (91/201)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Allora sognava, o pinttosto delirava, di vedere il padre, la madre, o altro mio caro disperarsi sul mio destino. Udiva di loro i più miserandi singhiozzi, e tosto mi destava singhiozzando e spaventato.
      Talvolta in que' brevissimi sogni sembravami d'udir la madre consolare gli altri, entrando con essi nel mio carcere, e volgermi le più sante parole sul dovere della rassegnazione; e quand'io più rallegrava del suo coraggio e del coraggio degli altri, ella prorompeva improvvisamente in lagrime, e tutti piangevano. Niuno può dire quali strazii fossero allora quelli all'anima mia.
      Per uscire di tanta miseria, provai di non andare più affatto a letto. Teneva acceso il lume l'intera notte, e stava al tavolino a leggere e scrivere. Ma che? Veniva il momento ch'io leggeva, destissimo, ma senza capir nulla, e che assolutamente la testa più non mi reggeva a comporre pensieri. Allora io copiava qualche cosa, ma copiava ruminando tutt'altro che ciò ch'io scriveva, ruminando le mie afflizioni.
      Eppure, s'io andava a letto era peggio. Niuna posizione m'era tollerabile, giacendo: m'agitava convulso, e conveniva alzarmi. Ovvero, se alquanto dormiva, que' disperanti sogni mi faceano più male del vegliare.
      Le mie preci erano aride, e nondimeno io le ripeteva sovente; non con lungo orare di parole, ma invocando Dio! Dio unito all'uomo ed esperto degli umani dolori!
      In quelle orrende notti, l'immaginativa mi s'esaltava talora in guisa che pareami, sebbene svegliato, or d'udir gemiti nel mio carcere, or d'udir risa soffocate.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





Dio