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      Ebbi la tentazione di sottrarmi al patibolo col suicidio, ma questa sgombrò. "Qual merito evvi a non lasciarsi ammazzare da un carnefice, ma rendersi invece carnefice di sé? Per salvar l'onore? E non è una fanciullaggine il credere che siavi più onore nel fare una burla al carnefice, che nel non fargliela, quando pur sia forza morire?" Anche se non fossi stato cristiano, il suicidio, riflettendovi, mi sarebbe sembrato un piacere sciocco, una inutilità.
      Se il termine della mia vita è venuto,
      m'andava io dicendo "non sono io fortunato, che sia in guisa da lasciarmi tempo per raccogliermi e purificare la coscienza con desideri e pentimenti degni d'un uomo? Volgarmente giudicando, l'andare al patibolo è la peggiore delle morti: giudicando da savio, non è dessa migliore delle tante morti che avvengono per malattia, con grande indebolimento d'intelletto, che non lascia più luogo a rialzar l'anima da pensieri bassi?"
      La giustezza di tal ragionamento mi penetrò sì forte nello spirito, che l'orror della morte, e di quella specie di morte, si dileguava interamente da me. Meditai molto sui sacramenti che doveano invigorirmi al solenne passo, e mi parea d'essere in grado di riceverli con tali disposizioni da provarne l'efficacia. Quell'altezza d'animo ch'io credea d'avere, quella pace, quell'indulgente affezione verso coloro che m'odiavano, quella gioia di poter sacrificare la mia vita alla volontà di Dio, le avrei io serbate s'io fossi stato condotto al supplizio? Ahi! che l'uomo è pieno di contraddizioni, e quando sembra essere più gagliardo e più santo può cadere fra un istante in debolezza ed in colpa!


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





Dio