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      Il mattino, non pregai. L'universo mi pareva opera d'una potenza nemica del bene. Altre volte era già stato così calunniatore di Dio; ma non avrei creduto di ridivenirlo, e ridivenirlo in poche ore! Giuliano ne' suoi massimi furori non poteva essere più empio di me. Ruminando pensieri di odio, principalmente quand'uno è percosso da somma sventura, la quale dovrebbe renderlo vieppiù religioso, foss'egli anche stato giusto, diventa iniquo. Si, foss'egli anche stato giusto; perocché non si può odiare senza superbia. E chi sei tu, o misero mortale, per pretendere che niuno tuo simile ti giudichi severamente? per pretendere che niuno ti possa far male di buona fede, credendo d'operare con giustizia? per lagnarti, se Dio permette che tu patisca piuttosto in un modo che in un altro?
      Io mi sentiva infelice di non poter pregare; ma ove regna superbia, non rinviensi altro Dio che sé medesimo.
      Avrei voluto raccomandare ad un supremo soccorritore i miei desolati parenti, e più in lui non credeva.
     
      CAPO LIII
     
      Alle 9 antimeridiane, Maroncelli ed io fummo fatti entrare in gondola, e ci condussero in città. Approdammo al palazzo del Doge, e salimmo alle carceri. Ci misero nella stanza ove pochi giorni prima era il signor Caporali; ignoro ove questi fosse stato tradotto. Nove o dieci sbirri sedeano a farci guardia, e noi passeggiando aspettavamo l'istante di esser tratti in piazza L'aspettazione fu lunga. Comparve soltanto a mezzodì l'inquisitore, ad annunciarci che bisognava andare. Il medico si presentò, suggerendoci di bere un bicchierino d'acqua di menta; accettammo, e fummo grati, non tanto di questa, quanto della profonda compassione che il buon vecchio ci dimostrava.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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