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      Scendemmo in gondola, e le guardie remigarono verso Fusina.
      Ivi giunti, trovammo allestiti due legni. Montarono Rezia e Canova nell'uno; Maroncelli ed io nell'altro. In uno dei legni era co' due prigioni il commissario, nell'altro un sottocommissario cogli altri due. Compivano il convoglio sei o sette guardie di polizia, armate di schioppo e sciabola, distribuite parte dentro i legni, parte sulla cassetta del vetturino.
      Essere costretto da sventura ad abbandonare la patria è sempre doloroso, ma abbandonarla incatenato, condotto in climi orrendi, destinato a languire per anni fra sgherri, è cosa sì straziante che non v'ha termini per accennarla!
      Prima di varcare le Alpi, vieppiù mi si facea cara d'ora in ora la mia nazione, stante la pietà che dappertutto ci dimostravano quelli che incontravamo. In ogni città, in ogni villaggio, per ogni sparso casolare, la notizia della nostra condanna essendo già pubblica da qualche settimana, eravamo aspettati. In parecchi luoghi, i commissarii e le guardie stentavano a dissipare la folla che ne circondava. Era mirabile il benevolo sentimento che veniva palesato a nostro riguardo.
      In Udine ci accadde una commovente sorpresa. Giunti alla locanda, il commissario fece chiudere la porta del cortile e respingere il popolo. Ci assegnò una stanza, e disse ai camerieri che ci portassero da cena e l'occorrente per dormire. Ecco un istante appresso entrare tre uomini, con materassi sulle spalle. Qual è la nostra meraviglia, accorgendoci che solo uno di loro è al servizio della locanda, e che gli altri sono due nostri conoscenti!


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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