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      Fingemmo d'aiutarli a por giù i materassi, e toccammo loro furtivamente la mano. Le lagrime sgorgavano dal cuore ad essi ed a noi. Oh quanto ci fu penoso di non poterle versare tra le braccia gli uni degli altri!
      I commissarii non s'avvidero di quella pietosa scena, ma dubitai che una delle guardie penetrasse il mistero, nell'atto che il buon Dario mi stringeva la mano. Quella guardia era un veneto. Mirò in volto Dario e me, impallidì, sembrò tentennare se dovesse alzar la voce, ma tacque, e pose gli occhi altrove, dissimulando. Se non indovinò che quelli erano amici nostri, pensò almeno che fossero camerieri di nostra conoscenza.
     
      CAPO LVI
     
      Il mattino partivamo d'Udine, ed albeggiava appena: quell'affettuoso Dario era già nella strada, tutto mantellato; ci salutò ancora, e ci seguì lungo tempo. Vedemmo anche una carrozza venirci dietro per due o tre miglia. In essa qualcheduno facea sventolare un fazzoletto. Alfine retrocesse. Chi sarà stato? Lo supponemmo.
      Oh Iddio benedica tutte le anime generose che non s'adontano d'amare gli sventurati! Ah, tanto più le apprezzo, dacché, negli anni della mia calamità, ne conobbi pur di codarde, che mi rinnegarono e credettero vantaggiarsi ripetendo improperii contro di me. Ma quest'ultime furono poche, ed il numero delle prime non fu scarso.
      M'ingannava, stimando che quella compassione che trovavamo in Italia dovesse cessare laddove fossimo in terra straniera. Ah il buono è sempre compatriota degl'infelici! Quando fummo in paesi illirici e tedeschi avveniva lo stesso che ne' nostri.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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