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      Il commissario imperiale ripartendo ci abbracciò, ed era intenerito;
      Raccomando a lor signori particolarmente la docilità:
      diss'egli "la minima infrazione alla disciplina può venir punita dal signor soprintendente con pene severe."
      Fatta la consegna, Maroncelli ed io fummo condotti in un corridoio sotterraneo, dove ci s'apersero due tenebrose stanze non contigue. Ciascuno di noi fu chiuso nel suo covile.
     
      CAPO LVIII
     
      Acerbissima cosa, dopo aver già detto addio a tanti oggetti, quando non si è più che in due amici, egualmente sventurati, ah sì! acerbissima cosa il dividersi! Maroncelli nel lasciarmi vedeami infermo, e compiangeva in me un uomo ch'ei probabilmente non vedrebbe mai più: io compiangea in lui un fiore splendido di salute, rapito forse per sempre alla luce vitale del sole. E quel fiore infatti oh come appassì! Rivide un giorno la luce, ma oh in quale stato!
      Allorché mi trovai solo in quell'orrido antro, e intesi serrarsi i catenacci, e distinsi, al barlume che discendeva da alto finestruolo, il nudo pancone datomi per letto, ed una enorme catena al muro, m'assisi fremente su quel letto, e, presa quella catena, ne misurai la lunghezza, pensando fosse destinata per me.
      Mezz'ora dappoi, ecco stridere le chiavi; la porta s'apre: il capocarceriere mi portava una brocca d'acqua.
      Questo è per bere;
      disse con voce burbera "e domattina porterò la pagnotta."
      Grazie, buon uomo.
      Non sono buonoriprese.
      Peggio per voigli dissi sdegnato. "E questa catena," soggiunsi "è forse per me?"
      Sì, signore, se mai ella non fosse quieta, se infuriasse, se dicesse insolenze.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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Maroncelli