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      Quella stretta di mano lo commosse. Ei mi disse in cattivo tedesco (era polacco): "Signore, le si dà ora così poco da mangiare, che ella sicuramente patisce la fame".
      Assicurai di no, ma io assicurava l'incredibile.
      Il medico, vedendo che nessuno di noi potea mangiare quella qualità di cibi che ci aveano dato ne' primi giorni, ci mise tutti a quello che chiamano quarto di porzione, cioè al vitto dell'ospedale. Erano tre minestrine leggerissime al giorno, un pezzettino d'arrosto d'agnello da ingoiarsi in un boccone, e forse tre once di pan bianco. Siccome la mia salute s'andava facendo migliore, l'appetito cresceva, e quel quarto era veramente troppo poco. Provai di tornare al cibo dei sani, ma non v'era guadagno a fare, giacché disgustava tanto ch'io non poteva mangiarlo. Convenne assolutamente ch'io m'attenessi al quarto. Per più d'un anno conobbi quanto sia il tormento della fame. E questo tormento lo patirono con veemenza anche maggiore alcuni de' miei compagni, che essendo più robusti di me erano avvezzi a nutrirsi più abbondantemente. So d'alcuni di loro che accettarono pane e da Schiller e da altre due guardie addette al nostro servizio, e perfino da quel buon uomo di Kunda.
      Per la città si dice che a lor signori si dà poco da mangiaremi disse una volta il barbiere, un giovinotto praticante del nostro chirurgo.
      È verissimorisposi schiettamente.
      Il seguente sabato (ei veniva ogni sabato) volle darmi di soppiatto una grossa pagnotta bianca. Schiller finse di non veder l'offerta.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





Schiller Kunda