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      Si rispose che non mi ponessero nell'infermeria, ma che mi servissero nel carcere colla stessa diligenza che se fossi nell'infermeria. Di più autorizzavasi il soprintendente a fornirmi brodi e minestre della sua cucina, finché durava la gravezza del male.
      Quest'ultimo provvedimento mi fu a principio inutile: niun cibo, niuna bevanda mi passava. Peggiorai per tutta una settimana, e delirava giorno e notte.
      Kral e Kubitzky mi furono dati per infermieri; ambi mi servivano con amore.
      Ogni volta ch'io era alquanto in senno, Kral mi ripeteva:
      Abbia fiducia in Dio; Dio solo è buono.
      Pregate per medicevagli io "non che mi risani, ma che accetti le mie sventure e la mia morte in espiazione de' miei peccati."
      Mi suggerì di chiedere i sacramenti.
      Se non li chiesirisposi "attributelo alla debolezza della mia testa; ma sarà per me un gran conforto il riceverli."
      Kral riferì le mie parole al soprintendente, e fu fatto venire il cappellano delle carceri.
      Mi confessai, comunicai, e presi l'olio santo. Fui contento di quel sacerdote. Si chiamava Sturm. Le riflessioni che mi fece sulla giustizia di Dio, sull'ingiustizia degli uomini, sul dovere del perdono, sulla vanità di tutte le cose del mondo, non erano trivialità: aveano l'impronta d'un intelletto elevato e cólto, e d'un sentimento caldo di vero amore di Dio e del prossimo.
     
      CAPO LXXIV
     
      Lo sforzo d'attenzione che feci per ricevere i sacramenti sembrò esaurire la mia vitalità, ma invece giovommi, gettandomi in un letargo di parecchie ore che mi riposò.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





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