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      Io non noto quante volte le mie malattie sgombrarono e ricomparvero. L'assistenza che in esse faceami Maroncelli era quella del più tenero fratello. Ei s'accorgea quando il parlare non mi convenisse, ed allora stava in silenzio; ei s'accorgea quando i suoi detti potessero sollevarmi, ed allora trovava sempre soggetti confacentisi alla disposizione del mio animo, talora secondandola, talora mirando grado grado a mutarla. Spiriti più nobili del suo, io non ne avea mai conosciuti; pari al suo, pochi. Un grande amore per la giustizia, una grande tolleranza, una gran fiducia nella virtù umana e negli aiuti della Provvidenza, un sentimento vivissimo del bello in tutte le arti, una fantasia ricca di poesia, tutte le più amabili doti di mente e di cuore si univano per rendermelo caro.
      Io non dimenticava Oroboni, ed ogni dì gemea della sua morte, ma gioivami spesso il cuore immaginando che quel diletto, libero di tutti i mali ed in seno alla Divinità, dovesse pure annoverare fra le sue contentezze quella di vedermi con un amico non meno affettuoso di lui.
      Una voce pareva assicurarmi nell'anima che Oroboni non fosse più in luogo di espiazione; nondimeno io pregava sempre per lui. Molte volte sognai di vederlo che pregasse per me; e que' sogni io amava di persuadermi che non fossero accidentali, ma bensì vere manifestazioni sue, permesse da Dio per consolarmi. Sarebbe cosa ridicola s'io riferissi la vivezza di tali sogni, e la soavità che realmente in me lasciavano per intere giornate.
      Ma i sentimenti religiosi e l'amicizia mia per Maroncelli alleggerivano sempre più le mie afflizioni.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





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