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      L'unica idea che mi spaventasse era la possibilità che questo infelice, di salute già assai rovinata, sebbene meno minacciante della mia, mi precedesse nel sepolcro. Ogni volta ch'egli ammalava io tremava; ogni volta che vedealo star meglio, era una festa per me.
      Queste paure di perderlo davano al mio affetto per lui una forza sempre maggiore; ed in lui la paura di perder me operava lo stesso effetto.
      Ah! v'è pur molta dolcezza in quelle alternazioni d'affanni e di speranze per una persona che è l'unica che ti rimanga! La nostra sorte era sicuramente una delle più misere che si dieno sulla terra; eppure lo stimarci e l'amarci così pienamente formava in mezzo a' nostri dolori una specie di felicità; e davvero la sentivamo.
     
      CAPO LXXVIII
     
      Avrei bramato che il cappellano (del quale io era stato così contento al tempo della mia prima malattia) ci fosse stato conceduto per confessore, e che potessimo vederlo a quando a quando, anche senza trovarci gravemente infermi. Invece di dare questo incarico a lui, il governatore ci destinò un agostiniano, per nome P. Battista, intantoché venisse da Vienna o la conferma di questo, o la nomina d'un altro.
      Io temea di perderci nel cambio; m'ingannava. Il P. Battista era un angiolo di carità; i suoi modi erano educatissimi ed anzi eleganti; ragionava profondamente de' doveri dell'uomo.
      Lo pregammo di visitarci spesso. Veniva ogni mese, e più frequentemente se poteva. Ci portava anche, col permesso del governatore, qualche libro, e ci diceva, a nome del suo abate, che tutta la biblioteca del convento stava a nostra disposizione.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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