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      Se non vedo i miei simili, concentro il mio amore su troppo picciolo numero di essi, e disamo gli altri; se posso vederne, non dirò molti, ma un numero discreto, amo con tenerezza tutto il genere umano.
      Mille volte mi son trovato col cuore sì unicamente amante di pochissimi, e pieno d'odio per gli altri, ch'io me ne spaventava. Allora andava alla finestra sospirando di vedere qualche faccia nuova, e m'estimava felice se la sentinella non passeggiava troppo rasente il muro; se si scostava sì che potessi vederla; se alzava il capo udendomi tossire, se la sua fisionomia era buona. Quando mi parea scorgervi sensi di pietà, un dolce palpito prendeami come se quello sconosciuto soldato fosse un intimo amico. S'ei s'allontanava, io aspettava con innamorata inquietudine ch'ei ritornasse, e s'ei ritornava guardandomi, io ne gioiva come d'una grande carità. Se non passava più in guisa ch'io lo vedessi, io restava mortificato come uomo che ama, e conosce che altri nol cura.
     
      CAPO LXXXV
     
      Nel carcere contiguo, già d'Oroboni, stavano ora D. Marco Fortini e il signor Antonio Villa. Quest'ultimo, altre volte robusto come un Ercole, patì molto la fame il primo anno, e quando ebbe più cibo si trovò senza forze per digerire. Languì lungamente, e poi, ridotto quasi all'estremità, ottenne che gli dessero un carcere più arioso. L'atmosfera mefitica d'un angusto sepolcro gli era, senza dubbio, nocivissima, siccome lo era a tutti gli altri. Ma il rimedio da lui invocato non fu sufficiente. In quella stanza grande campò qualche mese ancora, poi dopo varii sbocchi di sangue morì.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





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