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      Ma in breve escono di nuovo nel corridoio. Quand'ecco la cara voce del buon Fortini: "Oh povereto mi! la scusi, sala; ho desmentegà un tomo del breviario".
      E lesto lesto ei correva indietro a prendersi quel tomo, poi raggiungeva il drappello. La porta della scala s'aperse, intendemmo i loro passi fino al fondo: capimmo che i due felici aveano ricevuto la grazia; e, sebbene c'increscesse di non seguirli, ne esultammo.
     
      CAPO LXXXVI
     
      Era la liberazione di que' due compagni senza alcuna conseguenza per noi? Come uscivano essi, i quali erano stati condannati al pari di noi, uno a vent'anni, l'altro a quindici, e su noi e su molt'altri non risplendeva grazia?
      Contro i non liberati esistevano dunque prevenzioni più ostili? Ovvero sarebbevi la disposizione di graziarci tutti, ma a brevi intervalli di distanza, due alla volta? forse ogni mese? forse ogni due o tre mesi?
      Così per alcun tempo dubbiammo. E più di tre mesi volsero né altra liberazione faceasi. Verso la fine del 1827, pensammo che il dicembre potesse essere determinato per anniversario delle grazie. Ma il dicembre passò e nulla accadde.
      Protraemmo l'aspettativa sino alla state del 1828, terminando allora per me i sett'anni e mezzo di pena, equivalenti, secondo il detto dell'Imperatore, ai quindici, ove pure la pena si volesse contare dall'arresto. Ché se non voleasi comprendere il tempo del processo (e questa supposizione era la più verisimile), ma bensì cominciare dalla pubblicazione della condanna, i sett'anni e mezzo non sarebbero finiti che nel 1829.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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Fortini Imperatore