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      Vuol ella esporsi al pericolo?...
      Di morire? E non morrei in breve egualmente se non si mette termine a questo male?
      Dunque faremo subito relazione a Vienna d'ogni cosa, ed appena venuto il permesso di amputarla...
      Che? ci vuole un permesso?
      Sì, signore.
      Di lì a otto giorni, l'aspettato consentimento giunse.
      Il malato fu portato in una stanza più grande; ei dimandò ch'io lo seguissi.
      Potrei spirare sotto l'operazione;
      diss'egli "ch'io mi trovi almeno fra le braccia dell'amico."
      La mia compagnia gli fu conceduta.
      L'abate Wrba, nostro confessore (succeduto a Paulowich), venne ad amministrare i sacramenti all'infelice. Adempiuto questo atto di religione, aspettavamo i chirurgi, e non comparivano. Maroncelli si mise ancora a cantare un inno.
      I chirurgi vennero alfine: erano due. Uno, quello ordinario della casa, cioè il nostro barbiere, ed egli, quando occorrevano operazioni, aveva il diritto di farle di sua mano e non volea cederne l'onore ad altri. L'altro era un giovane chirurgo, allievo della scuola di Vienna, e già godente fama di molta abilità. Questi, mandato dal governatore per assistere all'operazione e dirigerla, avrebbe voluto farla egli stesso, ma gli convenne contentarsi di vegliare all'esecuzione.
      Il malato fu seduto sulla sponda del letto colle gambe giù: io lo tenea fra le mie braccia. Al di sopra del ginocchio, dove la coscia cominciava ad esser sana, fu stretto un legaccio, segno del giro che dovea fare il coltello. Il vecchio chirurgo tagliò tutto intorno, la profondità d'un dito; poi tirò in su la pelle tagliata, e continuò il taglio sui muscoli scorticati.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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