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      Nell'anno 1829 ammalò; poi, dovendo assumere altri impegni, non poté più venire da noi. Ce ne spiacque altamente; ma avemmo la buona sorte che a lui seguisse altro dotto ed egregio uomo, l'abate Ziak, vicecurato.
      Di que' parecchi sacerdoti tedeschi che ci furono destinati, non capitarne uno cattivo! non uno che scoprissimo volersi fare stromento della politica (e questo è si facile a scoprirsi!), non uno, anzi, che non avesse i riuniti meriti di molta dottrina, di dichiaratissima fede cattolica e di filosofia profonda! Oh quanto ministri della Chiesa siffatti sono rispettabili!
      Que' pochi ch'io conobbi mi fecero concepire un'opinione assai vantaggiosa del clero cattolico tedesco.
      Anche l'abate Ziak teneva lunghe conferenze con noi. Egli pure mi serviva d'esempio per sopportare con serenità i miei dolori. Incessanti flussioni ai denti, alla gola, agli orecchi lo tormentavano, ed era nondimeno sempre sorridente.
      Intanto la molt'aria aperta fece scomparire a poco a poco le macchie scorbutiche di Maroncelli; e parimenti Munari ed io stavamo meglio.
     
      CAPO XCI
     
      Spuntò il 1° d'agosto del 1830. Volgeano dieci anni ch'io avea perduta la libertà; ott'anni e mezzo ch'io scontava il carcere duro.
      Era giorno di domenica. Andammo, come le altre feste, nel solito recinto. Guardammo ancora dal muricciuolo la sottoposta valle, ed il cimitero ove giaceano Oroboni e Villa; parlammo ancora del riposo che un dì v'avrebbero le nostre ossa. Ci assidemmo ancora sulla solita panca ad aspettare che le povere condannate venissero alla messa, che si diceva prima della nostra.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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