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      Siccome questi solea venire per cose moleste, come perquisizioni od inquisizioni, seguimmo assai di mal umore il buon sottintendente fino alla camera d'udienza.
      Là trovammo il direttore di polizia ed il soprintendente; ed il primo ci fece un inchino, gentile più del consueto.
      Prese una carta in mano, e disse con voci tronche, forse temendo di produrci troppo forte sorpresa se si esprimeva più nettamente:
      Signori... ho il piacere... ho l'onore... di significar loro... che S.M. l'Imperatore ha fatto ancora... una grazia...
      Ed esitava a dirci qual grazia fosse. Noi pensavamo che fosse qualche minoramento di pena, come d'essere esenti dalla noia del lavoro, d'aver qualche libro di più, d'avere alimenti men disgustosi.
      Ma non capiscono?
      disse.
      No, signore. Abbia la bontà di spiegarci quale specie di grazia sia questa.
      È la libertà per loro due, e per un terzo che fra poco abbracceranno.
      Parrebbe che quest'annuncio avesse dovuto farci prorompere in giubilo. Il nostro pensiero corse subito ai parenti, de' quali da tanto tempo non avevamo notizia, ed il dubbio che forse non li avremmo più trovati sulla terra ci accorò tanto, che annullò il piacere suscitabile dall'annuncio della libertà.
      Ammutoliscono?...
      disse il direttore di polizia. "Io m'aspettava di vederli esultanti."
      La pregorisposi "di far nota all'Imperatore la nostra gratitudine; ma, se non abbiamo notizia delle nostre famiglie, non ci è possibile di non paventare che a noi sieno mancate persone carissime. Questa incertezza ci opprime, anche in un istante che dovrebbe esser quello della massima gioia.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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