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      Diede allora a Maroncelli una lettera di suo fratello, che lo consolò. A me disse che nulla c'era della mia famiglia; e ciò mi fece vieppiù temere che qualche disgrazia fosse in essa avvenuta.
      Vadanoproseguì "nella loro stanza; e fra poco manderò loro quel terzo che pure è stato graziato."
      Andammo ed apettavamo con ansietà quel terzo. Avremmo voluto che fossero tutti, eppure non poteva essere che uno. "Fosse il povero vecchio Munari! fosse quello! fosse quell'altro!" Niuno era per cui non facessimo voti.
      Finalmente la porta s'apre, e vediamo quel compagno essere il signor Andrea Tonelli da Brescia.
      Ci abbracciammo. Non potevamo più pranzare.
      Favellammo sino a sera, compiangendo gli amici che restavano.
      Al tramonto ritornò il direttore di polizia per trarci di quello sciagurato soggiorno. I nostri cuori gemevano, passando innanzi alle carceri de' tanti amati, e non potendo condurli con noi! Chi sa quanto tempo vi languirebbero ancora? chi sa quanti di essi doveano quivi esser preda lenta della morte?
      Fu messo a ciascuno di noi un tabarro da soldato sulle spalle ed un berretto in capo, e così, coi medesimi vestiti da galeotto, ma scatenati, scendemmo il funesto monte, e fummo condotti in città, nelle carceri della polizia.
      Era un bellissimo lume di luna. Le strade, le case, la gente che incontravamo, tutto mi pareva sì gradevole e sì strano, dopo tanti anni che non avea più veduto simile spettacolo!
     
      CAPO XCII
     
      Aspettammo nelle carceri di polizia un commissario imperiale che dovea venire da Vienna per accompagnarci sino ai confini.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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