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      Nello stesso giorno che scoppiava la rivoluzione, l'Imperatore avea firmato il decreto della nostra libertŕ! Certo non lo avrebbe ora rivocato. Ma era pur cosa non inverisimile, che i tempi tornando ad essere critici per tutta Europa si temessero movimenti popolari anche in Italia, e non si volesse dall'Austria, in quel momento, lasciarci ripatriare. Eravamo ben persuasi di non ritornare sullo Spielberg; ma paventavamo che alcuno suggerisse all'Imperatore di deportarci in qualche cittŕ dell'impero lungi dalla penisola.
      Mi mostrai anche piů risanato che non era, e pregai che si sollecitasse la partenza. Intanto era mio desiderio ardentissimo di presentarmi a S.E. il signor conte di Pralormo, Inviato della Corte di Torino alla Corte austriaca, alla bontŕ del quale io sapeva di quanto andassi debitore. Egli erasi adoperato colla piů generosa e costante premura ad ottenere la mia liberazione. Ma il divieto ch'io non vedessi chi che si fosse non ammise eccezione.
      Appena fui convalescente, ci si fece la gentilezza di mandarci per qualche giorno la carrozza perché girassimo un poco per Vienna. Il commissario avea l'obbligo d'accompagnarci e di non lasciarci parlare con nessuno. Vedemmo la bella chiesa di Santo Stefano, i deliziosi passeggi della cittŕ, la vicina villa Liechtenstein, e per ultimo la villa imperiale di Schonbrünn.
      Mentre eravamo ne' magnifici viali di Schonbrünn passň l'Imperatore, ed il commissario ci fece ritirare, perché la vista delle nostre sparute persone non l'attristasse.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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