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      Se così vissi in lunga titubanza,
      Ond'or vergogno, ah! tu pur sai, mio Dio,
      Che tremenda cingeami ostil possanza!
     
      Sfavillante d'ingegno il secol mio,
      Ma da irreligiose ire insanito,
      Parlava audace, ed ascoltaval'io.
     
      E perocchè tra' suoi sofismi orditoPur tralucea qualche pregevol lampo,
      Spesso da quelli io mi sentìa irretito.
     
      Egli imprecando ogni maligno inciampoSciogliea della ragion laudi stupende,
      Ma insiem menava di bestemmie vampo.
     
      Ed io, come colui che intento pendeDa labbra eloquentissime e divine,
      E ogni lor detto all'alma gli s'apprende,
     
      Meditando del secol le dottrine,
      Inclinava i miei sensi alcuna voltaDi servil riverenza entro il confine.
     
      Tardi vid'io ch'a indegne colpe avvoltaEra sua sapïenza, e vidi tardi
      Ch'ei debaccava per superbia stolta.
     
      Trasvolaron frattanto i dì gagliardiDella mia giovinezza, e sovra mille
      Splendide larve io posto avea gli sguardi;
     
      E nulla oprai che d'alta luce brille!
      E si sprecar fra inani desidèriDell'alma mia bollente le faville!
     
      Lamento sui fuggiti anni primieriChe d'eccelse speranze ebbi fecondi,
      E di ricchi d'amore alti pensieri!
     
      Ma sien grazie al Signor che, ne' profondiDelirii miei, pur non sorrisi io mai
      Agl'inimici suoi più furibondi:
     
      Sempre attraverso tutte nebbie, i raiDel Vangel mi venian racconsolando;
      Sempre la Croce occultamente amai.
     
      Ed il maggior mio gaudio era allorquandoIn una chiesa io stava, i dì beati
      Di mia credente infanzia rammentando:
     
      Que' dì pieni di fede, in che insegnatiDal caro mi venian labbro materno
      I portenti onde al ciel siamo appellati!


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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