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      Io rivolger godea, come a ricovroDi prole addolorata entro riposta
      D'ottimo padre stanza, a' filïaliLamenti sempre ascoltator benigno.
     
      Lunghe l'infanzia mia tenner vicendeD'infermità e mestizia. A me d'intorno
      Giubilavano vispi e saltellanti,
      E di bellezza angelica festosi,
      I pargoletti di que' giorni, ed io,
      Nato robusto al par di lor, cadutoIn rio languor vedeami, ed in secreti
      Indicibili spasmi; e spesse volteMorte ponea sovra il mio crin l'artiglio,
      Ma per gioco ponealo, e mi sdegnava.
      Così che pur ne' dì quando men egroIo strascinava il corpicciuolo, e lieta
      La voce uscìa dalle mie smorte labbra,
      Tra i floridi compagni, ascosamenteSpesso mie brevi gioie interrompea
      La pietà di mia fral, misera forza;
      Ed impeti frequenti allor d'angosciaIl petto mi premean, sicch'io fuggiva
      A nasconder mie lagrime solinghe;
      E quei che mi scopriano indi piangentePer ignota cagion, mi dicean pazzo.
      Salve, o gotici, begli archi del Tempio
      Che di Saluzzo è gloria! Archi, ove m'ebbiAlle mistiche fonti il nome caro
      D'un tra i vati gentili, onde graditiSonaron carmi per le patrie valli.
      Palpiti d'esultanza erano i mieiQuando me tenerello a quell'angusta
      Chiesa portava a' dì festivi il pioBraccio materno; e ricordanza vive
      In questo cor della speranza arcanaChe molcea i mali miei, quando su quelle
      Antiche, venerande are il mio ciglioSupplicemente ricercava Iddio.
      E salve, o tempio di men nobil foggia,
      Ma parlante a me pur dolci memorie,
      In Pinerol, città seconda, ov'ioRiposai le mie inferme ossa crescenti!
      Là nelle vespertine ombre, al chiarore


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





Tempio Saluzzo Iddio Pinerol