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      Oh! chi può dir con qual d'amore ideaMorte sperando al Salvator m'unissi?
      Mille fïate poscia a me riedeaLa ricordanza di quel giorno, e dissi:
      Deh, possa ancor con sì sublime amore,
      Come in quel dì, ricever io il Signore!"
     
      Quindi appena sui piè mi ressi alquantoDopo quel memorando atto divino,
      Mossi alla chiesa, e di dolcezza ho pianto,
      Ivi tornando al sovruman festino:
      E mi parea che con dolor più santoIo sopportassi l'egro mio destino,
      E che tutto il mio core arder dovesseIn avvenir di quelle fiamme istesse.
     
      L'ombra del tempio al giovinetto è invitoA pensieri gentili ed elevati:
      Tacite preci, canto, augusto rito,
      Tutto ivi il trae da' ciechi impeti usati;
      Tutto l'inizia a pregiar l'uom, munitoDi ragione e d'affetti alti ispirati;
      Santa filosofia quivi il maturaSì che in terra egli stampi orma secura.
     
      Che se ignobile in terra orma soventeStampa il mortal che pio fu giovanetto,
      Non è già perchè sia guida impotenteReligïone a obbedïente petto,
      Ma perchè alla celeste Conducente
      Sveltosi l'uom, s'affida a novo affetto,
      E segue il proprio orgoglio e i vili esempi,
      E teme la beffarda ira degli empi.
     
      Oh come lor beffarda ira scagliataContro gli altari l'alma mia percosse!
      Ed, ahi! la prima voce scellerata,
      Che da innocente fede mi rimosse,
      Uscì da tal, che, dopo aver sacrataSua vita al tempio, il divin giogo scosse!
      Quanto è alta luce pio, ver Sacerdote,
      Tant'è funesto mastro ogni Iscariote!
     
      D'inferno una smaniaTormenta quel tristo,
      Che indegno consacraLa coppa di Cristo,
      Che insegna il Vangelo
      Con labbro infedel;


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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