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      Soleasi a' dė lontani,
      Che barbari a ragion forse son detti,
      Ed in cui pur gli umaniPortavan reverenza a' begli affetti,
      Soleasi da' congiuntiPianto sacrar, solenne a' lor defunti!
     
      Mutō la degna usanza,
      E quando un genitor serrato ha il ciglio,
      Pių intorno non gli avanzaNč la consorte, nč un diletto figlio:
      Decenza impone a questiSgombrar lochi per morte oggi funesti.
     
      Ah! ben pių venerandoEra a' tempi de' barbari il compianto
      Delle famiglie, quandoI figliuoli mescean lagrime e canto,
      Venendo primi dietroAll'orribile e in un caro ferčtro!
     
      Fretta mi par non piaIl fuggire un amato, appena e' muore;
      Il non voler qual siaProva a lui dar di pubblico dolore:
      Ma ben č ver, che ascosoPur gronda il pianto - e spesso č pių doglioso!
     
      Se quei che vincolatiSon per sangue col morto, alla gemente
      Pompa non son restati,
      Folta dietro la bara č pur la gente:
      Misto al terror, v'č un forteAmor nell'uom per l'alta idea di morte.
     
      Chi vive puro, i grandiProponimenti inforza a quella vista,
      E chi traea nefandiI giorni suoi, sogguarda e si contrista:
      D'ognuno a tal pensieroScossa č la mente e richiamata al vero!
     
     
     
      Ma poichč il pių giulivo e il pių dolenteFra quanti riti a noi la Chiesa espone,
      Ha in sč di grazia spirto onnipossente,
      Che al cor favella ed a virtų dispone,
      Star giammai non si vegga ivi il credenteCol vil sorriso che a bestemmia č sprone:
      Ne' templi e fuor de' templi ogni atto pioPuote e debbe nostr'alme alzare a Dio.
     
      V'amo, o pompe divine! e prego il Cielo
      Ch'io mora in patria ove sien usi santi,
      Ove alla tomba il mio corporeo velo


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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