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      Cinta da cittadini; e se speranzaFosse di gloria le chiedean coloro,
      E richiedeano con affanno. - Ed ellaCon disprezzo miravali, e taceva,
      E passeggiava irata, e i dardeggiantiSguardi della divina alto terrore
      Nella plebe infondeano. E poichè sempreInsisteano le turbe a interrogarla
      Sovra i destini della patria, il risoAmaro del disprezzo in furor santo
      Volse; e, strappato dalle grigie chiomeIl vel, la fronte colla destra palma
      Si percosse tre volte, e a' suoi pensieriUscite!
      disse, - e uscirono tremendi!
      Vaticinio d'obbrobrio e di morteAll'iniqua Regina del mondo!
      Sette giorni; e poi veggo giocondoQui sue fiamme Alarico gettar!
      In tre parti ecco Roma divisa:
      Un'intera, altra mezzo abbattuta;
      La maggiore ecco fumiga mutaSovra l'ossa che un dì l'abitàr
      .
     
      Dell'antica Sibilla al disperanteGrido colpiti di spavento, alzaro
      Miserevol lagnanza i cittadini,
      E a lei diceano, e al cielo: "Onde su noi,
      Onde su figli così orrendo fato?
      Guardolli la inspirata, e lungamenteTacque fremendo, indi il silenzio ruppe:
     
      Onde mova sì fera condanna,
      O perversa d'eroi discendenza!
      Più da voi di virtù la credenzaA' figliuoli trasmessa non fu!
      Non v'è popol che piombi in rovina,
      Se non dove s'innalzi tal proleChe non sa, che non può, che non vuole
      Fuorchè oltraggio ed obblio di virtù!
     
      E vinse Alarico,
      E in fiamme andò Roma,
      E tutti la stirpeLatina fu doma!
      E invan quegli oppressiDell'Itala terra
      Dicean: "Fummo grandiIn pace ed in guerra!
      Disgiunte da forzaDi mente e di cor,
      Le voci orgoglioseSchernìa il vincitor.
     
      E fama narra che la pia Sibilla


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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