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      E mia cantica dica oggi le pompeDel Parlamento di Verona, e quale
      D'un magnanimo vate era il periglio,
      E più il periglio d'un illustre oppressoSe vergin trovadrice alla crucciata
      Alma d'un generoso imperadorePacificanti melodìe opportune
      Dal mite e saggio cor non effondea.
      Quando Italia ordinar, lacera in milleAvversanti poteri, ebbe promesso.
      Il rege Ottone, e di Verona al circoChiamò l'alta adunanza, ove concorse;
      Ogni baron d'elmo o di mitra ornato,
      Ch'oltre o di qua dell'alpi avesse nome,
      Immensa moltitudin coronavaSull'anfiteatrale ampia scalea
      La vasta piazza, in mezzo a cui d'Augusto
      La maestà fulger vedeasi, e quellaDe' reggenti minori. A gara e dritti
      S'agitavano e accuse. Ora frementeRattenendo la giusta ira nel petto,
      Or con dolce sorriso, il re supremoAscoltava e tacea dissimulando,
      Però che pria di pronunciar sue leggi,
      Gli altri indagava e maturava il senno.
      Fra le orrende in que' dì scagliate accuseContro a veri o supposti empi, colpita
      D'Insubre cavalier venne la fama,
      La fama d'Ugonel. Gli s'apponeaDa un ribaldo, il qual retti avea vissuti,
      A giudizio del popolo, molt'anni,
      Atroce fatto di perfidia e sangue:
      Una lunga covata inimiciziaVerso il prode Emerigo, e astute fila
      Per ingannarlo sotto il sacro ammantoDelle gioie amichevoli; ed in fine
      La morte stessa d'Emerigo, oprata,
      Per artifizi d'Ugonel, con feriDi streghe incantamenti o con veleno.
      Carissimo al regnante era Emerigo
      Per assai merti in guerra e pace, e quandoAvvenne del baron la crudel morte,
      Fu visto nella reggia il coronato


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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