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      Perocchè il dileguarsi della lampaChe a tutti è lieta, inchina ogni pensante
      Ad affetti patetici, e al ricordoDel dileguarsi della vita. Allora
      Diciam la requie a' nostri pii, che insiemeUn dì con noi frangeano il pane, e al sacro
      Ospital nappo s'estinguean la sete,
      E che falce di morte indi ha mietuto;
      E se remota è la natìa convalle,
      L'invochiam sospirando, e riportiamoAlle cene domestiche e alla pace
      Del proprio letto il desïoso sguardo.
      E le vergini piangono a quell'oraPiù dolcemente o la perduta madre,
      O l'amica, od il prode, a cui rispostoAvea già il cor, se non le labbra: "Io t'amo!"
      Ed a quell'ora tutto ciò nell'almaSente un alto poeta, e più che mai
      Con mistica armonia s'ordinan belleD'egregi fatti istorie entro sua mente.
      Tal ben era Aldigero, e in sè volgeaFantasie nobilissime, e lui pure
      Premeva uopo di carmi. E nondimenoSue fantasie turbava una tristezza,
      La tristezza gentil de' generosi,
      Nel dire entro il cor suo, che, mentre tantaQui la festa fervea, mentre brïaca
      Di piaceri e spettacoli e convitiEra pur la genìa, carco di ferri,
      In cupe volte di prigion, nel lezzoE nel dolore un Ugonel giacesse
      Senza conforto di parola amata,
      Nè di soave illusïon, presagoDi quell'orrendo palco e di que' neri
      Veli, e del manigoldo, e della scure!
      E quell'oppresso era Ugonel! Colui,
      Che il senno de' miglior dicea innocente!
      Di loco in loco errò Aldiger lung'ora,
      Indi all'ansante petto altra potenzaTormentosa s'aggiunse. Udì levarsi
      Dalle regie pareti una celesteMusica d'inni e corde, e a quelle sedi
      Egli tragge, vi giugne, e appena dice:


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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