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      Che i maligni allontanano dal tronoCon atroci calunnie. E la pittura
      Dell'improvvido vate apertamenteD'Ugonel presentava e le sembianze,
      E le virtù, ed il carcere. In suo ciecoZelo pel vero il trovador pregava
      D'Augusto la giustizia a diffidenzaContro orribili accuse, e predicea
      Indi a lui gloria, ed agl'iniqui infamia.
     
      Otton s'alzò sdegnato, e mise un cenno,
      E l'inno s'interruppe, e dalle maniD'uno scudier tolta al cantor fu l'arpa;
      E la popolosissima assembleaAlzò lungo susurro, in cui sommesso
      Plauso verso Aldiger mostravan molti,
      Ma plauso da rispetto e da pauraAlternamente soffocato. I cuori
      Più ad Ugonello e ad Aldiger propensiNuocer temeano maggiormente ad ambi,
      Se quel plauso sciogliean.
      Qui l'assennatoImperador volle calmare il moto
      Di quella moltitudine di menti,
      Mostrando alma pacifica, e di novoSovra il trono s'assise, e chiese il canto
      Delle arpatrici. Ognuno imitò il sire,
      Dissimulando la imprudente scossaData ai pensieri dal gagliardo vate,
      E dolcissima scese sugli spirtiDelle virginee voci insiem sonanti
      La musica celeste. Ognun per altro,
      Benchè temprato a palpiti più miti,
      Volgendo la pupilla in sul monarca,
      Contristar si sentìa; chè nell'augustaFaccia, atteggiata indarno alla quïete,
      Balenava recondito corruccio,
      E l'occhio suo fulmineo esser pareaD'imminente rigor nuncio tremendo.
      I più avveduti spettatori scrittaLa morte vi scorgean del pro' Ugonello.
      Ad Aldiger s'approssimò Romeo,
      E - Che festi? gli disse sotto voce;
      Che fia di te? Finta indulgenza è questa,
      Che te impunito breve tempo lascia:


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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