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      Che i più irati l'udian con reverenza:
      Con tenerezza quasi, ancor che invittiNel feroce astio e nell'ardente brama.
      Di Guelardo lo spirto a quel congressoFunestamente s'esaltò. Il diletto
      Ebelino ei vedea, nella commossaFantasia, re, suscitator di gloria
      Ad un popol redento. Il vedea belloGiganteggiare in immortali istorie,
      Com'un di que' supremi, onde la terraLunghi secoli è priva; e sè medesmo
      Socio vedea di quel supremo, e a luiSuccessor forse, e... Che non sogna audace
      Ambizïon, se raggio ha di speranza?
      Quand'ei fu sol con Ebelin, ridisseLe voci insieme intese, e commentolle
      Coll'insistenza del favore; e aggiunseMaligno esame de' pensier, degli atti
      D'Ottone, e della Greca in trono assisa,
      E degli astuti amici ond'ella è cinta.
      Quasi certezza accolse i più irritantiDubbi e i minimi indizi di periglio,
      E gridò ingratitudine, e dirittoAlla rivolta. E a grado a grado questa
      Ei necessaria osò chiamare, e il pioEbelin concitarvi. Lo interruppe
      Finalmente Ebelin; duplice telaCome già svolto aveva agli adunati,
      Svolse di novo al tentatore amico:
      Qua la turpezza del tradir, là i vaniSforzi a potenza e gloria, ove bruttata
      È nazïon da lunghi odii fraterni.
      Negli aneliti suoi s'ostinò il coreDi Guelardo in quel giorno, e seguì poscia
      A ridir con sofistica, inesaustaFacondia per più dì l'empie sue brame;
      Sì che non poche volte il generosoEbelino in resistergli, dal mite
      Considerare e dai soavi dettiPassò a dogliosa maraviglia e sdegno.
      Turbossene colui, ma il turbamentoAscose e il disamore, e da quel tempo


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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