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      Oh inenarratiDi quel colloquio i sacri detti e i sacri
      Abbracciamenti! Oh qual pietà! Una madreChe riscattar col sangue suo non puote
      Di sue viscere il frutto! ed il più amanteFiglio che di sua madre, ahimè! in secreto
      Deplorar dee la lunga vita!
      Il giornoChe dalla inconsolabil genitrice
      Fu Ebelin visitato, oh da qual notteSeguito fu! L'espandersi de' cuori
      Nella sventura, è de' sollievi il sommo;
      Ma dopo tal sollievo, allor che mestoIl prigionier dalle pietose braccia
      Di persona carissima è staccato,
      E solingo riman, quanto più duraGli è solitudin! Quanto più affannoso
      Il desiderio de' bei tempi in cuiFra gli amati vivea! Quanto più viva,
      Più lacerante la pietà ch'ei senteDi sè stesso e d'altrui!
      Me a tal doloreStranier non volle il Cielo, e in ripensarti,
      O decennio del carcere, infinitiStrazi ricordo, ma il più acerbo è forse
      Quand'io, abbracciato il genitor, partirsiDa me il vedea; quand'io, calde le labbra,
      Del bacio suo, dicea: - Questo è l'estremo!
      Non un decennio, ma più lune ancoraDurar gli allarmi d'Ebelino. Ei forse
      Nel giudizio di Dio gli accusatoriSperava iniqui col possente acciaro
      Düellando atterrar. Chi d'Ebelino
      Avea la forza e la destrezza? E quantaForza o destrezza in düellar non dona
      Senso d'intemerata anima offesa!
      Ma tai giudizi Iddio forse abborrendo,
      Non volle che sancito il reo costumePer Ebelin venisse; o del demonio
      Opra fu l'impedirlo. Il pestilenteAere del carcer nell'oppresso infonde
      Maligni influssi, ed eccolo abbattutoDa insanabili febbri. Il derelitto
      Pur talvolta illudeasi, immaginando


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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