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      Egli la mia temerità e la provaChe in questa aveavi di gagliardo amore.
      Oh qual sera di gaudio! oh quanta lodeAl fratellevol nostro affetto i duo
      Parenti davan! Come altero Irnando
      Mostravasi di me! Com'io di lui! -
      Di nostra püerizia i dolci giorniDa mille vicenduole ivan cosparsi,
      Che all'uno e all'altro certa fean la mutuaE generosa fede! E così stretto
      Vincol di due schiettissim'alme... il tempoDovea spezzarlo!
      In questa guisa gemeIl cavalier Camillo. Ed Ildegarde
      Dalle corvine chiome e dalla svelta,
      Maestosa statura: - O sposo amato,
      Perdona, prego, al mio pensier; non colpaFu in te forse d'orgoglio! Hai tu alcun passo
      Nobilmente tentato al benedettoDagli Angioli e da Dio pacificarvi?
      - Di nostre nozze intera anco non volgeLa luna, o mia diletta, e mal conosci
      Del tuo Camillo il cor. Non di rossorePerciò si tinga il tuo bel volto, o donna:
      Garrir, no, non ti voglio: impareraiCol tempo qual possanza in questo core
      Abbian gli affetti. Se tentai? Se dieciVolte l'orgoglio mio non s'immolava
      Per racquistarmi quell'amico? IndarnoEi più non è quello di pria: uno spirto
      Di maligna superbia il signoreggia:
      Ei (tu vedi s'io fremo a questo detto!)
      Ei mi dispregia! -
      L'arrossita dianziIldegarde a tai detti impallidiva,
      Mostrüoso sembrandole il destarsiDispregio in chi che sia verso un mortale
      Sì per cavallereschi atti famoso,
      Qual era il pio Camillo. E l'abbracciavaVibrando sguardi or con gentil disdegno
      Alla torre d'Irnando, or con desìoPassïonato al caro sposo. E sguardi
      Tai gli dicean: "S'altri spregiarti ardisce,


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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