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      Di qua dal campo alla sua volta, e ignaroAd un de' lati fermasi, ove un tronco
      D'albero sente; innanzi a lui lo stuoloGiunge de' cavalieri. Era Manfredo,
      Che di baroni provenzali cintoPer intenti di guerra iva il terreno
      Intorno visitando. Una fanciullaScorge egli tramortita ed un vegliardo;
      E voltosi ad Aroldo, acerbamenteCosì gli grida: - O discortese e stolto,
      Perchè nel sangue d'un fellone e sottoIl patibolo tratta hai quell'afflitta,
      Cui toglie i sensi il raccapriccio?
      - Oh sire,
      Oh novo sire di Saluzzo! esclamaL'antico cavalier, cui non intera
      L'aspra parola del crudel pungea,
      Nota è ad Aroldo ancor la voce tua:
      Aroldo io son dalle romite torriChe si specchian nel Pellice. E l'illustre
      Tuo genitor te adolescente spessoAdduceva a mie sale, e co' miei figli
      In un calice sol beevi a mensa.
      Ah per memoria del tuo estinto padreOggi pietà di me ti prenda! Il figlio
      Ch'unico maschio avanza a mia vecchiaia,
      E cadde tuo prigion, deh non rapirmi!
      Io non leggeri doni a te in riscattoDal mio castel portato avea, ma iniqui
      Predatori per via m'hanno assalito.
      Alle mie braccia il caro figlio rendi,
      E qual tributo m'imporrai ti solvo,
      Pareggiasse anco de' miei campi avitiL'intero pregio.
      - O sciagurato Aroldo,
      Di qual osi tributo or favellarmi,
      Se finor tutto mi negasti? È tardi.
      - Tardi, o sire, non è. Seguita, è vero,
      Fu da bollente figlio mio l'insegnaDe' prischi Saluzzesi e di Tommaso,
      E la vittoria a tua prodezza arride.
      Ma tu il fervido oprar del giovinettoDona pietosamente al supplicante
      Suo genitor che in venti pugne il sangue


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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