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      Ed arpe e trombe e canti. Anco Roccello
      Quelle pompe seguì, vago ad un tempoDi visitar la veneta laguna,
      Ed ansio nel cor suo di trarsi a lochiMen da rammarchi e tirannia infestati.
      - Nasconder non tel vo, fido Gilnero:
      Con letizia abbandono or quelle muraChe più non son la mia gentil Milano
      Degli anni andati, quando tanti aveaLa genitrice mia concittadini
      A lei pari in contento e cortesìa.
      Spenti sono i migliori, e succeduta
      È qui razza di mesti e di discordiCh'ogni dì più contristerìami. Or voglio
      Questa regal magnificente corsaAssaporar per via; fermo in Vinegia
      Prendere ostello intendo poi: Vinegia,
      La città senza esempio! il più bel fruttoDell'italica mente! il seggio dove
      La maestà si ricovrò latina!
      Barbara cosa è tutto il resto: i soliVeneti han leggi e libertà e senato
      Come i prischi Romani, e ad emularliChiamati son per l'universa terra.
      - Vedrem, dicea Gilner, vedrem codestaCittà di fetid'acque e di palagi.
      Piantati nella melma! E venerandaNazïon certo ne parrà una ciurma
      Di possenti pirati, usi a galereE traffichi e saccheggi, ingentilita
      Men fra cristiani che fra turchi e mori!
      Ma giunsero a Verona, e qui la moglieDel temuto Luchin maravigliose
      Accoglienze gioconde ebbe dai duoScaligeri fratelli ivi regnanti,
      Mastino e Alberto: illustre coppia e forteD'unanimi signori, anch'essi audaci
      In desiderio di supremo impero.
      Il saluzzese cavalier si piacqueSu' bei liti dell'Adige, e più lieta
      D'ogni altra corte or giudicando questa,
      Disse a Gilner: - Se poi Vinegia a noiStanza grata non fosse, io, vedi, ho fermo


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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