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      Qui farmachi alle piaghe offre, e vi spargeAceto e sale, e ficcavi gli artigli,
      E de' ruggiti degl'infermi ride!
      Onoriamolo oltr'Alpe, o quando inermeVisita le latine illustri terre,
      Non quando s'arma ed amistà ne giura!
      Lui quasi imbelli pargoli maestroNon invochiam, non invochiamlo padre:
      Adulti siam se ci crediamo adulti!
      E ad esser tai, non fremiti, non risse,
      Non sommosse vi vogliono, ma senno,
      E fede ai patti, ed indulgenza e amore!
      Tacque come spossato e inteneritoUn'altra volta l'Alighier. Poi lena
      Ripigliando sclamò: - Quanto sei bellaFiorenza mia! Quanto sei bella, o Italia,
      In tutte le tue valli, ancorchè sparseD'ossa infelici e di crudeli istorie!
      E che monta che in genti altre sfavilliD'eccelsi troni maestà maggiore,
      Mentre per varie signorie te reggi?
      Chi può sfrondar della tua gloria il serto?
      Chi a te delle gentili arti l'imperoInvolar mai? Chi scancellar dal core
      D'ogn'uom che bevve al nascer suo quest'aureLa gioia d'esser Italo? la gioia
      D'esser nepote dell'antica Roma
      E figlio della nuova? Abbian fortuneLuminose altri popoli: in disdoro
      Mai non cadrà la venerata terraChe domò l'universo, e dove eretta
      Dall'Apostolo Pier fu la immortaleFace che tutti a salvaméntochiama!
      Ma bastan forse aviti pregi? Il gridoNon vi colpì de' miei robusti carmi?
      E ch'altro, poetando io per lungh'anni,
      Vi dissi, Itali, mai, fuorchè d'apporreNobiltà a nobiltà, virtù a virtude
      Innanzi al mondo, e a voi medesmi, e a Dio?
      Oh gioventù d'alte speranze, i gioghiDel vizio esècra e non i santi gioghi!
      Le gare tue sien di pietà le gare


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Poesie inedite
di Silvio Pellico
Tipografia Chirio e Mina Torino
1837 pagine 291

   





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