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      Si abbracciano affettuosamente.
     
     
      GUIDO.
      Vedermi dunque ella chiedea? RavennaTosto lasciai; men della figlia caro
      Sariami il trono della terra.
      LANCIOTTO.
      Oh Guido!
      Come diverso tu rivedi questoPalagio mio dal dì che sposo io fui!
      Di Rimini le vie più non son lieteDi canti e danze; più non odi alcuno
      Che di me dica: Non v'ha rege al mondoFelice al pari di Lanciotto. Invidia
      Avean di me tutti d'Italia i prenci:
      Or degno son di lor pietà. FrancescaSoavemente commoveva a un tempo
      Colla bellezza i cuori, e con quel tenueVel di malinconia che più celeste
      Fea il suo sembiante. L'apponeva ognunoAll'abbandono delle patrie case
      E al pudor di santissima fanciulla,
      Che ad imene ed al trono ed agli applausiRitrosa ha l'alma. - Il tempo ir diradando
      Parve alfin quel dolor. Meno dimessiGli occhi Francesca al suo sposo volgea;
      Più non cercava ognor d'esser solinga;
      Pietosa cura in lei nascea d'udireDegl'infelici le querele, e spesso
      Me le recava; e mi diceva.... Io t'amo.
      Perchè sei giusto e con clemenza regni.
      GUIDO.
      Mi sforzi al pianto. - Pargoletta, ell'eraTutta sorriso, tutta gioja, ai fiori
      Parea in mezzo volar nel più feliceSentiero della vita; il suo vivace
      Sguardo in chi la mirava, infondea tuttoIl gajo spirto de' suoi giovani anni.
      Chi presagir potealo? Ecco ad un trattoDi tanta gioja estinto il raggio, estinto
      Al primo assalto del dolor! La guerra,
      Ahimè, un fratel teneramente amatoRapiale!... Oh infausta rimembranza!.. Il cielo
      Con preghiere continue ella stancavaPel guerreggiante suo caro fratello...
      LANCIOTTO.


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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi
1840 pagine 149

   





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