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      Pongon la manoAlle spade i satelliti e il lor duce,
      Urla mettono orrende, orrendi colpiMetton, ma invan: già steso è al suolo Eugero,
      Già spiccia il sangue da più petti: in cercaD'aita e in fuga altri si volge: umana
      Opra questa non credon, ma prodigioInvincibil del cielo. Adel si slancia
      Con volo irrefrenabile atterrandoTutti gl'inciampi, e della torre è uscito.
      Al popol corre, con possente voceIncita a compier l'alta impresa: ei narra
      Dell'involata all'esecrande nozzeFiglia di Berengario.
      Avventuriero,
      Qual credeste, io non son, d'estrania terra!
      De' Saluzzesi monti, italo io sono,
      Figlio del sire Adel, che antico servoFu dell'ucciso imperador! Vendetta
      L'adirata onoranda ombra a me chiese,
      A voi tutti la chiede. Oggi la tacciaSi lavi che (già omai volge il terz'anno)
      Vi disonora e dican la fraterneEd emule città - Giacea nel fango
      Per rio destin, non per viltà, Verona!"
      Il suo apparir maraviglioso, i caldiAccenti del guerrier, la reverenza
      E la pietà che spiran le feriteOnde il volto gronda - e par ch'ei solo
      Conscio non siane - un inatteso effettoProducon nella turba. Al denso stuolo
      Delle feroci mercenarie lance,
      Che con Rasperto irrompono, non cedeCome altre volte il volgo: aspra battaglia
      Le vie e le piazze insanguina: le opposteIre in eroi trasmuta anco i più vili.
      Adel s'azzuffa col tiranno. Ivi era,
      Ivi a mirarsi spaventevol cosaIl furor de' gagliardi, il mortal odio,
      E di disperazion l'ultima prova!
      Lunga è la lotta, dubbia è la vittoria:
      Si soffermano il popolo e i guerrieri,
      E alterno è il plauso ed il terror.


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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi
1840 pagine 149

   





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