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      Ch'ansio esitavi a stabilire, in giornoChe, la mercè di Dio, non è spuntato.
      V'ha fra i complici tuoi chi tua perfidiaAl tribunale attesta.
      E poichè mutoSerbavasi Ebelin, vengon a un cenno
      Que' testimoni nella sala addotti.
      Eran duo di que' truci esclamatoriDi libertà, di civiche vendette,
      Di patrio amor, che ne' consessi audaciDella rivolta più fervean, più scherno
      Scagliavan sui dubbianti e sovra i miti,
      E più capaci d'affrontar qualunqueParean supplizio, anzi che mai parola
      Di codardia pel proprio scampo sciorre.
      Questi eroi da macelli, questi atrociOstentatori d'invicibil rabbia,
      Come fur tolti a lor gioconde cene,
      E gravato di ferri ebbero il pugno,
      E il patibolo vider, - tremebondiQuasi cinèdi, le arroganti grida
      Volsero in turpi lagrime e in più turpiEsibimenti di riscatto infame,
      Altre teste al carnefice segnando.
      Ad Ebelino in riveder coloroIsfuggì un atto di stupor: - Voi dunque?
      Voi?... Ma, qual maraviglia? Oh! ben a drittoIo sempre le feroci alme ho spregiato,
      E ben diceami il cor quali voi foste!
      Ed appunto perchè troppe vid'ioAlme siffatte là nelle congrèghe
      Ove il mio plauso si cercava indarno,
      E pochi vidi eccelsi petti, avversiAd insolenza e a stragi, io mestamente
      Presentii di mia patria obbrobri e pianto,
      S'ella sorda restava a' preghi miei,
      E alle minacce mie, quando insensataIo vostr'impresa nominava e iniqua.
      I testimoni balbettaro, e fisiGli occhi loro in Guelardo, il concertato
      Calunnïar sostennero. EbelinoPiù non degnolli di risposta, e chiese
      D'esser condotto anzi ad Ottone a cui


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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi
1840 pagine 149

   





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