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      Ambe le anticheSerrava il chiostro istesso, e raramente
      Alla reggia venìan; che ad Adelaide
      Odïosa la reggia erasi fattaPer l'imperar della superba nuora.
      - Qual sarà stato di mia madre, e qualeDell'onoranda Imperadrice il core,
      Allorchè udir la mia sventura? IniquoEsse, no, non mi tengono! Esse almeno,
      Mentre a tutti i mortali il nome mioIn abbominio fia; caro l'avranno!
      Così geme Ebelino. Un dì, ottenutoLa madre alfine ha di vederlo, e scende
      Alla prigion del figlio. Oh inenarratiDi quel colloquio i sacri detti e i sacri
      Abbracciamenti! Oh qual pietà! Una madreChe riscattar col sangue suo non puote
      Di sue viscere il frutto! ed il più amanteFiglio che di sua madre, ahimè! in secreto
      Deplorar dee la lunga vita!
      Il giornoChe dalla inconsolabil genitrice
      Fu Ebelin visitato, oh da qual notteSeguito fu! L'espandersi de' cuori
      Nella sventura, è de' sollievi il sommo;
      Ma dopo tal sollievo, allor che mestoIl prigionier dalle pietose braccia
      Di persona carissima è staccato,
      E solingo riman, quanto più duraGli è solitudin! Quanto più affannoso
      Il desiderio de' bei tempi in cuiFra gli amati vivea! Quanto più viva,
      Più lacerante la pietà ch'ei senteDi sè stesso e d'altrui!
      Me a tal doloreStranier non volle il Cielo, e in ripensarti,
      O decennio del carcere, infinitiStrazi ricordo, ma il più acerbo è forse
      Quand'io, abbracciato il genitor, partirsiDa me il vedea; quand'io, calde le labbra,
      Del bacio suo, dicea: - Questo è l'estremo!
      Non un decennio, ma più lune ancoraDurar gli allarmi d'Ebelino. Ei forse
      Nel giudizio di Dio gli accusatori


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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi
1840 pagine 149

   





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