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      D'ancella a guisa che garrita piange,
      E risponder non osa. A quando a quandoSi sofferma Ildegarde, e confidata
      Tende l'orecchio e nella valle mira,
      Che voci udir le sembra; e quelle voci,
      Ahi! manda il villanel, che dagli aratiCampi co' buoi ritorna, ed a lui cara
      Son compagnia l'antica madre, curvaSotto il fascio dell'erbe, e la robusta
      Moglie, peso maggior di rudi sterpiCon elegante alacrità portando.
      Ne' dì seguenti, al consüeto poggioLe due donne riedean, ma fremebonda
      Sempre era Elina, e, tramontato il sole,
      Moveva a casa delirante d'iraE di dolore; ognor vituperata
      Ma affettüosa la seguìa Ildegarde.
      Odon lontane grida, e nella valle,
      Come all'usato i guardi avidamenteCon palpiti d'amor gettano entrambe
      E di speranza e di paura. Il caneDrizza i villosi orecchi, ed un acuto
      Insolito latrato alza, e si scagliaGiù per la praterìa precipitoso,
      Folte siepi saltando ed ardui fossiE scoscesi macigni. E ad intervalli
      Sparisce e ricompare, e tace, e abbaia,
      Nè mai s'arresta.
      - E sarà ver? Son dessi,
      Son dessi certo! Esclamano a vicendaCon ebbrezza febbril le desïose.
      Ma se alle lance reduci or mancasseUno de' capitani, od ambo forse?
      Oh spaventoso dubbio! Oh sventurate!
      Chi ne assecura?
      Sì dicendo, il passoRaddoppiano affannate. Al piano giunte,
      Odon le scalpitanti ugne velociD'uno o duo corridori: ah fosser duo!
      Fosser de' duo baroni i corridori!
      Scerner gli oggetti mal lasciava un densoNembo di polve. Ah sì! Lor lance appunto
      Camillo e Irnando precedean, con ansiaDi riveder le dolci spose. Oh gioia!
      Oh certezza felice!


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Poesie scelte
di Silvio Pellico
Edizioni Buadry Parigi
1840 pagine 149

   





Ildegarde Elina Ildegarde Irnando