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      Il sole era scomparso, ma il cielo ardeva ancora, rosso dei suoi ultimi raggi, i quali indietreggiavano dolcemente dinanzi una miriade di stelle, svelantisi gradatamente, quando la bireme si fermò nel porto di Tiberiade.
      La capitale d'Antipas si svolgeva ai piedi d'una collina dirupata, presso una sorgente d'acqua calda, sulle rovine d'una città, e di tombe d'un popolo di cui è perduto il ricordo. Tiberiade era una città romana, una Napoli, una Baja, una Pozzuoli, una Siracusa dell'Asia, con tutti gli edifizii pubblici delle città romane, tempii, collegi, ginnasii, stadium, palazzi, forum, teatri, circhi e terme. Un castello coronava la città; e sotto la protezione di quella fortezza, al di sopra della città, sorgeva la Casa Dorata, residenza d'Antipas, il cui tetto era coperto di lamine d'oro, come il Tempio. Un alto muro, scendendo dalla fortezza fino al mare, circondava la città. Un porto, delle gittate, delle porte che davano su l'acqua, delle torri, delle terrazze, nulla mancava. Centinaia di barche, come tante nere bagnanti dalle pezzuole multicolori, si cullavano nelle limpide acque. Volendo popolare rapidamente le belle vie e le belle case della sua città, Antipas ne aveva fatto un asilo pei malfattori, un mercato libero pei commercianti, un sito di delizie per i ricchi, un rifugio pegli impuri, un luogo molto lucroso pegli artigiani e gli artisti, un tesoro pel povero che vi cercava lavoro, un terreno neutro per tutti i popoli. Per ciò, Tiberiade era popolata da cittadini di tutte le nazioni; Italiani, Greci, Asiatici, di tutte le parti.


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Memorie di Giuda
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1883 pagine 551

   





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