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      La sua anima era tocca. In mezzo ad un amaro disinganno, una folgoreggiante visione l'aveva consolato ed esaltato. Ma egli aveva paura della tempesta che aveva scatenata, forse con più precipitazione e più prematura ch'egli stesso non l'avesse desiderato.
      Ormai, egli non poteva restare più sotto il bel cielo del suo paese, ove aveva tessuto tanti idillii nella prima fase della sua missione. Dopo aver gettato la sua terribile parola, che lo tratteggiava a figlio di Dio, egli non poteva più abbandonarsi ai dolci amori dell'infanzia, dei fiori, della donna, dei profumi, alla sua morale gaia, alla sua sottile ironia contro le bizzarre pratiche dei Farisei. Gli era mestieri ora regnare nelle regioni della folgore. Ma nessuno lo comprendeva più. I suoi discepoli stessi lo trovavano strano, lo credevano tal fiata demente, si raffreddavano, o si allontanavano. Egli sentiva che doveva arrischiare un colpo decisivo; ed io gli offriva una gran parte, in un grande teatro. Nulla ostante, non credendo alle mie parole, volle assicurarsi dello stato degli spiriti, e per sua propria prova.
      Il Rabbì era un cattivo Ebreo. Egli accettava le nostre leggi, le nostre tradizioni, i nostri patriarchi, i nostri profeti e le nostre dottrine, ma tutto sotto benefizio di stretto inventario; e ben poco ne lasciava in piedi dopo il suo esame.
      Un abisso separava l'anima sua dall'anima nazionale.
      L'Ebreo è materiale, formalista, rozzo, puntiglioso, orgoglioso, crudele, superstizioso, di passioni affatto vive e palpabili.


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Memorie di Giuda
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1883 pagine 551

   





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