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      La sua missione perdeva dunque la base politica, sulla quale egli non avrebbe sdegnato di appoggiarla.
      Egli riconosceva bene l'esistenza del sentimento ebreo che sospirava un liberatore, un messia, il quale lo francasse dallo straniero. Ma egli aveva riconosciuto altresì che questo sentimento non era abbastanza intenso da farsene una leva di sovversione politica, e di elevazione personale. Occorreva dunque rinunziare a quel mezzo di attrarre il popolo dietro a sè. Egli attribuiva la tiepidezza della plebe alla soddisfazione dei Sadducei, alla interessata rassegnazione dei Farisei. In realtà, per gli uni, il dominio romano era la pace; per gli altri, una tregua, durante la quale lavorerebbero a scalzare la supremazia dei loro rivali. Il Rabbì detestava gli uni e gli altri come traditori verso Dio, di cui egli si era proclamato figlio, e traditori verso il popolo di cui egli si faceva sgabello. La sua grande parola pronunciata, la sua missione dichiarata, esposte le sue dottrine, i suoi discepoli inquieti, ma all'erta, - che poteva ormai fare il Rabbì? Il cielo stesso della sua provincia rotolava tuoni contro di lui. Di tutte le mie insinuazioni, non aveva ascoltato che il consiglio, appoggiato dall'evidenza quotidiana, di cangiare il teatro delle sue prediche, e di venire a spiegare la sua attività a Gerusalemme. Colpito il capo, il corpo cadrebbe da sè. Era dunque arrivato a Bethania, la vigilia del Purim, con un piano stabilito di condotta: confondere i suoi nemici, trionfare o soccombere.


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Memorie di Giuda
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1883 pagine 551

   





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