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      Il mio amico, vivamente commosso, profondamente tocco, le rispose, ma le ingiunse di restare nella Siria. Un uomo però fu da lui ricevuto: un certo Saul da Tarso, uomo di spirito elevato, ma panneggiato di roffia ed entusiasta. Costui vide due volte il mio amico e conversò con lui da solo a solo lungamente. Poi più nessuno, più nulla. Il mio amico viveva in una tomba in mezzo al mondo vivente.
      Egli non godeva della creazione che per buffi; talvolta un'alba splendida, talvolta un tramonto malinconico, talvolta un chiaro di luna inebbriante, un fiore di qui, di là una carezza di quella buona Noah o una dolce parola della mia eccellente sorella, la quale l'amava come la mi amava - vale a dire come dieci madri! Ora il momento fatale era arrivato. L'olio della lampada era consumato fino all'ultima goccia: la vita era usata.
      Io aveva chiamato dei medici greci ed asiatici. Nessun d'essi non aveva trovato la benchè minima cosa per involare un'ora alla clepsidra del tempo. Avevo comperato dei filtri alle sagas; i loro beveraggi avevano invece forse affrettata la catastrofe. Il mio amico si era prestato a tutto per compiacermi, ma fino dal primo giorno, mi aveva dichiarato che la sua vita era stata estinta, e che lo smagamento ed il disinganno lo uccidevano.
      Il disinganno! Quanti grandi spiriti non furono spenti da questa spaventevole ed incurabile malattia!
      Il mio povero amico non era più riconoscibile. Del suo sembiante così accentuato, non restavano più che gli occhi, quantunque il loro splendore così mobile, così potente, così diverso, fosse estinto.


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Memorie di Giuda
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1883 pagine 551

   





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