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      Mi abbandono al patibolo pel mio delitto; pago l'ammenda per mio figlio.
      Un istante di silenzio seguì, momento terribile per tutti, d'agonia per mio padre, di terrore per me. Egli aveva rivelato il suo vero nome. Il presidente ed i cinque giudici scambiarono alcune parole fra loro, a voce bassa. La loro deliberazione fu breve, pure ci parve durasse un secolo. Finalmente il presidente disse:
      - L'esecuzione della sentenza verso quel giovane non ammette dilazione. Il caso non è previsto dalle nostre leggi. La sentenza avrà dunque il suo corso. In quanto all'assassino del conte di Schaffner, egli sarà inviato alla sede sicula, ove il delitto fu commesso, e consegnato alle autorità locali.
      Ecco tutto.
      La Corte si alzò, ed uscì.
      Un fremito corse in tutta l'assemblea.
      Io subii la pena delle verghe.
      Mio padre fu appiccato.
      Lottai quarant'otto ore contro la tentazione del suicidio. Non bevetti, non mangiai, non dormii durante questo tempo. Il mio cervello era agitato dal caleidoscopio del delirio. Il terzo giorno, uno dei giudici venne a portarmi i mille fiorini di ricompensa, prezzo del sangue di mio padre. Egli indietreggiò spaventato dinanzi la minaccia del semplice mio sguardo, scivolò nella pozza che stava dinanzi la porta, cadde, si rialzò gridando, e fuggì. La stessa sera abbandonai il villaggio.
      Tre anni avanti, venendo colà, avevo portata negli occhi la cara nostalgia delle mie montagne transilvane. Per lungo tempo ne avevo avuto il miraggio alla sera, credendo veder nel lontano orizzonte, attraverso il pallido azzurro del cielo cenericcio dell'Ungheria, delle punte di zaffiro orlare la pianura come una collana.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





Schaffner Corte Ungheria