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      Poi finalmente delle cataste di fieno, rassomiglianti a dromedarii accoccolati nelle fermate del deserto, e qualche pastore malinconico, pensieroso, indolente, che segue le ondulazioni delle rare nuvolette che si bagnano nell'immensità. Cosa sogna egli, il solitario della puzsta?
      Ogni Ungherese è l'embrione di un poeta, di un gentiluomo, d'un soldato, d'un patriotta e di un pazzo - Don Chisciotte grave, capace di tutti gli eroismi e di tutte le frivolità.
      Questa pianura dell'Ungheria è grandemente triste, è la solitudine animata, l'incerto dell'Oriente che trasalisce sotto gli amplessi dell'Occidente. Io portava le lagrime negli occhi e lo scoraggiamento nel cuore. Ogni passo che facevo verso l'ovest, era un passo nell'esilio, ed io sentiva le fibre della patria cader una ad una dal mio cuore, come si strappano i petali da un fiore. Venne la notte. Mi lasciai cadere sopra un solco di granturco tagliato, e piansi.
      Un solo avvenire si apriva ormai a me dinanzi. L'accettai senza esitare. Era dar mano ad una creazione. Presi il nome che porto ora, e mi feci soldato. Entrai in un reggimento d'ussari, a Vienna. Fui inviato in Boemia, poi in Italia, poi in Polonia. Vi passai quattro anni.
      La rivoluzione del 1848 mi trovò in Galizia sottotenente, promosso soltanto dalla vigilia.
     
     
     
      III.
     
      Il mio reggimento aveva cangiato tre volte di colonnello. L'ultimo era un tedesco, il conte Ferdinando Tichter. Io era segretario del suo predecessore, un ungherese; il conte austriaco desiderò che restassi a quel posto.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





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