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      La notizia della reddizione era ormai conosciuta. Non c'era più subordinazione. I bivacchi della notte furono tregende. Qui gridavano, bestemmiavano, maledicevano, od insultavano gli ufficiali meno afflitti; là si rompevano le armi, si ammazzavano i cavalli, si suicidavano. Il dolore ebbe voci diverse, ma immense e spaventevoli. Nessuno mangiò. Nessuno dormì. I cavalli stessi parevano penetrati da un sentimento di pesante tristezza. Si facevano dei progetti assurdi. Si concepivano speranze insensate. Tutti erano accusati, e nessuno si scusava. Si ricordavano i giorni gloriosi della vittoria, della gioia, l'entrata trionfale nelle città, il perdono generoso accordato al nemico dopo di averlo vinto, i colpi fortunati, le orride serate del bivacco d'inverno, coricati sulla neve, senza fuoco, senza mantello, senza cena, e pure felici. Si gittava al vento un ritornello patriottico di Petöfy, ormai senza eco: un flebile ritornello delle arie della pianura, che provocava una esplosione di lagrime, che ricordava il villaggio, le serate d'estate sotto l'effluvio delle stelle, le serate d'inverno all'angolo dell'amato focolare, la madre, la sorella, la fidanzata, la sposa lasciate per la patria, i fanciulli benedetti partendo, che giocavano colle sciabole. I buffi d'indignazione e di annientamento si alternavano e si succedevano. C'erano là 30,000 uomini, che domandavano di battersi ancora. Si desiderava la battaglia del destino - la disperazione contro la potenza.
      Una notte serena, irradiata da uno spolverio di stelle, filtrata da un vapore bianco e leggero, avviluppava di ombre tutto il paesaggio.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





Petöfy